Significa imparare l'indulgenza e per questo amare, e perdonare, la donna che eri un tempo. Quella che camminava per strada vestita di sbagli, e pezze a colori, ed etichette affibbiate da qualcuno - chissà quando, chissà perché - e conti mai saldati, e fallimenti ammantati di sforzo, e di tenacia. Quella stessa donna che poi - con una mano che non era più il solito pugno chiuso, ma dita tese e protese verso l'avanti - ho salutato con affetto, e con un pizzico di malinconia. Da lontano, le ho sussurrato: "Mi dispiace. Mi dispiace perché non ho saputo volerti bene abbastanza da preservarti la dignità, ed evitarti inutili dolori. Ora sei libera, ti lascio libera".
E lei se n'è andata, col suo carico di ieri e di domani mai arrivati. Eppure leggera ed impalpabile. Mi ha guardata negli occhi un'ultima volta e, con tenerezza, mi ha detto: "Non ti serbo alcun rancore. Ci siamo tenute compagnia tanto, e tanto a lungo, in quelle mattine senza entusiamo, e nelle notti faticose, eternamente uguali a loro stesse. Ma nulla è più certo del cambiamento ... e allora cambia. Sii il meglio di ciò che puoi essere".
Non dimenticherò mai la donna che ero. . .
da IL GIARDINO DEI CILIEGI
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